Il 12 ottobre, si è celebrata la Giornata mondiale dell’hospice e delle cure palliative (WHPCD – INSERIRE QUESTO LINK https://thewhpca.org/world-hospice-and-palliative-care-day). Il tema dell’edizione 2024 è: «Dieci anni dopo la risoluzione: a che punto siamo?». Il riferimento è al 2014, quando l’Assemblea mondiale della sanità dell’Oms approvò l’unica risoluzione autonoma sulle cure palliative (WHA 67.19), invitando tutti i Paesi a «rafforzare le cure palliative come componente di un’assistenza completa durante tutto il corso della vita».
«Ogni persona, ovunque, merita l’accesso a cure di qualità che allevino la sofferenza, soprattutto alla fine della vita. Eppure, quasi 60 milioni di persone non hanno ancora accesso a questi servizi essenziali e in molti luoghi le cure palliative sono sottofinanziate, fraintese o non disponibili – ha ricordato nel suo messaggio Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) -. Ma stiamo facendo progressi. L’Oms e i suoi partner stanno collaborando con i governi, gli operatori sanitari e assistenziali e le comunità per integrare le cure palliative nelle cure primarie, per sostenere la formazione degli operatori sanitari e per rendere disponibili i farmaci essenziali. Insieme lavoriamo per un mondo in cui ogni persona che affronta una grave malattia riceva il conforto, il rispetto e la dignità che merita».
Di questi 60 milioni, adulti e bambini, oltre l’80% vive in Paesi a basso e medio reddito (LMIC). La Worldwide Hospice Palliative Care Alliance (WHPCA), organizzazione non governativa presente in oltre 100 Paesi che si occupa di hospice e cure palliative, ha stimato che più della metà del fabbisogno di cure palliative viene soddisfatto nei Paesi ad alto reddito, mentre solo il 4% nei Paesi a basso e medio reddito. A livello globale, si stima che 22 milioni di neonati, bambini e adolescenti affetti da malattie inguaribili potrebbero beneficiare delle cure palliative pediatriche. L’Organizzazione mondiale della sanità definisce le cure palliative pediatriche come l’attiva presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e comprende il supporto attivo alla famiglia.
In Italia, circa 30.000 minori hanno diritto alle cure palliative pediatriche, 11 mila di questi di servizi specialistici ad alta attività assistenziale, ma solo Il 15% riesce ad accedervi, nonostante le leggi vigenti.
Qual è il contenuto della risoluzione del 2014? Il documento esorta l’OMS e i suoi Stati membri a integrare le cure palliative come componente fondamentale dei sistemi sanitari. Sottolineando la responsabilità morale dei sistemi sanitari, si chiede che le cure palliative siano fornite a tutti i livelli, in particolare nell’assistenza sanitaria primaria e negli ambienti comunitari. La risoluzione ha inoltre sostenuto la necessità di garantire l’accesso ai farmaci essenziali per alleviare il dolore, come la morfina orale, per alleviare le sofferenze.
L’accesso alle cure palliative è diventato quindi un diritto universale. Nonostante questo passo significativo, la realtà resta preoccupante anche a distanza di dieci anni. I servizi di cure palliative non sono stati ampliati nella misura necessaria a soddisfare la domanda. Nonostante gli enormi progressi in campo medico, il mondo continua a non riuscire a fornire cure compassionevoli di base a coloro che ne hanno più bisogno.
L’offerta di servizi a livello globale è leggermente aumentata, passando da 16.000 a 25.000 servizi, ma copre ancora solo circa 3-7 milioni di pazienti sui 60 milioni che ne hanno bisogno ogni anno.
Il coinvolgimento delle comunità attraverso la formazione e la sensibilizzazione dei volontari è essenziale per supportare le famiglie e gli individui durante questa difficile fase della vita.
Dunque, a che punto siamo, a dieci anni di distanza dalla risoluzione dell’assemblea dell’Oms? Che cosa ne pensano gli esperti italiani del settore? Riportiamo le considerazioni della professoressa Franca Benini responsabile del Centro Regionale Veneto di terapia del dolore e Cure Palliative Pediatriche, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova, raccolte dal Corriere della Sera , e di Giada Lonati , medico palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas, in un’intervista rilasciata alla Federazione Cure Palliative .
Passi avanti se ne sono fatti? «Sì, anche perché è la realtà della medicina pediatrica che ce le impone — risponde Benini, pioniera delle cure palliative pediatriche in Italia —. Dal punto di vista tecnologico, basti pensare ai dispositivi per il supporto ventilatorio, la nutrizione, il monitoraggio dei parametri, l’aspirazione, meno invasivi, più facili da gestire anche per le famiglie e con maggiore autonomia. Non sono stati scoperti molti farmaci nuovi, ma abbiamo nuove modalità di usare nella maniera migliore possibile i farmaci esistenti. Stanno avanzando le nuove terapie geniche. Purtroppo, non hanno annullato la malattia né tolto tutti i bisogni, ma hanno certamente migliorato in maniera drammatica la qualità della vita, la possibilità di integrazione sociale».
Quello che è stato fatto è sufficiente? «Assolutamente no. C’è ancora uno spazio d’azione enorme. I bambini che hanno bisogno di cure palliative continuano ad aumentare, mentre personale e strutture restano invariati. Inoltre, scontiamo tuttora un contesto culturale appoggiato su concetti completamente sbagliati, come quelli che le cure palliative si occupano solo di bambini in fin di vita e, fra questi solo dei bambini oncologici. Niente di più sbagliato», conclude.
«Dieci anni dopo la risoluzione: a che punto siamo?». «In qualità di palliativista sono un’inguaribile ottimista e quindi provo a guardare il bicchiere mezzo pieno e vedo che sicuramente ci sono stati dei progressi significativi nelle cure palliative. Penso soprattutto allo sguardo sul paziente non oncologico e alle gravi cronicità e alle demenze, alle gravi fragilità, che una volta non erano nell’orizzonte delle cure palliative, hanno tardato ad entrare e probabilmente non lo sono ancora dappertutto. Credo che sia maturato uno sguardo sul bisogno di cure palliative nelle età estreme della vita e penso in questo caso alle cure palliative pediatriche. Noi abbiamo avuto la fortuna di aprire un hospice, il primo della Lombardia, ma è una cultura che sta crescendo un po’ lungo tutto lo stivale. Resta probabilmente un po’ da coltivare la dimensione della cura palliativa alla fine della vita nelle RSA (Residenze socioassistenziali per anziani). Non possiamo poi dimenticarci che nel 2017 abbiamo avuto la legge 219 e quindi abbiamo in qualche modo trasformato in una norma quelle che erano delle pratiche insite nelle cure palliative: quindi tutto il tema della pianificazione condivisa delle cure, oltre che delle disposizioni anticipate di trattamento, con la sottolineatura rispetto all’importanza della comunicazione come cura e anche della dimensione della non ostinazione irragionevole e della sedazione palliativa. Occorre poi rimarcare che abbiamo una scuola di specializzazione in cure palliative, un elemento non secondario, perché si tratta di un passo avanti enorme. Credo che ci siano delle dimensioni su cui lavorare, perché va colmato il gap culturale tra quello a cui dovremmo tendere e quello che spesso sperimentano soprattutto i colleghi che lavorano negli ospedali. Bisogna continuare a lavorare quindi sulla formazione tecnica e sull’informazione dei cittadini. Abbiamo davanti nuovi bisogni. Quello che ci aspetta è la costruzione di nuove competenze, di nuove equipe e anche di nuovi modelli di cura, perché penso che i modelli esistenti non siano sufficienti. Da ultimo, bisogna valorizzare la ricerca, su cui le cure palliative fanno un po’ più fatica per tante ragioni. Dobbiamo immaginare una ricerca di tipo clinico, ma anche una ricerca di tipo organizzativo nuovo, perché per rispondere a bisogni che sono cambiati è necessario probabilmente costruire dei modelli assistenziali diversi e integrati».